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ESG Outlook 2025: cosa dicono i dati su come stanno cambiando le imprese italiane

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ESG Outlook 2025: cosa dicono i dati su come stanno cambiando le imprese italiane

Indice

Lo scenario ESG italiano nel 2025

La definizione di un nuovo obiettivo climatico al 2040 non è un gesto politico momentaneo, ma un passaggio previsto dalla Legge Europea sul Clima.
Il 2025 rappresenta un punto di svolta per le imprese italiane: la sostenibilità non è più un tema di compliance futura, ma un’aspettativa concreta da parte di banche, investitori, clienti e supply chain. Secondo l’ESG Outlook 2025 di CRIF, cresce in modo significativo il numero di aziende che considera il miglioramento delle performance ESG come un fattore competitivo, non solo reputazionale.

Il report evidenzia un aumento della raccolta e gestione dei dati ESG lungo tutta la catena del valore, segno di un mercato più maturo e consapevole rispetto al biennio precedente. La spinta non arriva solo dai trend globali, ma soprattutto da esigenze finanziarie: ottenere credito, partecipare a bandi e mantenere i rapporti con clienti multinazionali richiede oggi livelli di trasparenza molto più elevati.

Perché cresce la richiesta di trasparenza sui dati

Il 2025 segna una fase in cui le regolamentazioni europee — pur in evoluzione — non rappresentano più l’unico driver del cambiamento. Anche in scenari normativi incerti, come l’aggiornamento dei requisiti per la rendicontazione o i dibattiti sulla due diligence, la domanda di dati ESG continua ad aumentare perché:

  • banche e fondi devono gestire il rischio climatico nei propri portafogli;
  • i grandi clienti chiedono metriche affidabili per valutare i fornitori;
  • la competitività internazionale richiede standard comparabili;
  • molte imprese stanno definendo piani di transizione energetica.

L’EBA – European Banking Authority ha infatti ribadito che gli operatori finanziari devono valutare in modo più strutturato i rischi ambientali e sociali nei processi di concessione del credito. Questo comporta una maggiore pressione sulle PMI, che diventano parte di un ecosistema finanziario dove la qualità dei dati è centrale.

I settori più esposti alla pressione degli stakeholder

Secondo l’ESG Outlook 2025 di CRIF, non tutti i settori stanno vivendo la transizione con la stessa intensità. Le realtà maggiormente esposte sono quelle a più alto impatto ambientale — come manifatturiero, costruzioni ed energia — dove la richiesta di dati dettagliati su emissioni, consumi e rischi climatici è ormai costante. Anche le filiere più complesse, come agroalimentare, moda e packaging, stanno subendo una pressione crescente: clienti internazionali e retailer richiedono metriche verificabili, audit periodici e informazioni sempre più precise sull’origine dei materiali e sulla gestione dei rifiuti.

Una dinamica simile riguarda i settori ad alta intensità di capitale, come logistica e automotive, dove banche e investitori chiedono maggiore trasparenza per valutare correttamente i rischi di transizione e la capacità delle imprese di allinearsi agli standard europei. L’Agenzia Europea dell’Ambiente conferma che proprio in questi comparti l’esigenza di misurare parametri come energia, risorse naturali, emissioni di gas serra e resilienza ai cambiamenti climatici è aumentata significativamente nel 2023 e nel 2024.

Per molte imprese italiane ciò comporta un cambio di paradigma: non è più sufficiente raccontare le iniziative avviate, ma diventa necessario produrre dati affidabili, coerenti e confrontabili. Questo passaggio, oltre a rispondere alle aspettative degli stakeholder, sta contribuendo a definire un nuovo standard competitivo in cui l’attenzione alla sostenibilità è sempre più intrecciata con la solidità industriale e finanziaria.

Come stanno reagendo le imprese: investimenti, strumenti e priorità

Il quadro che emerge dal report CRIF mostra un sistema imprenditoriale più maturo e determinato a gestire la sostenibilità in modo strutturato. Le aziende stanno investendo sempre più nella digitalizzazione dei dati, adottando piattaforme integrate capaci di raccogliere informazioni ambientali, sociali e di governance in maniera continua e verificabile. Questo passaggio non è soltanto tecnico: rappresenta l’evoluzione da un approccio basato su dichiarazioni qualitative a un modello in cui i numeri diventano la base delle decisioni strategiche.

La misurazione delle emissioni, in particolare, sta diventando un ambito centrale. Molte imprese hanno iniziato a includere gli Scope 1 e 2 nei propri inventari e stanno progressivamente ampliando l’analisi allo Scope 3, consapevoli del fatto che una parte significativa del loro impatto si concentra proprio nella catena di fornitura. Parallelamente, cresce l’attenzione verso sistemi di monitoraggio energetico che permettono di valutare in tempo reale consumi, sprechi e opportunità di efficientamento.

Accanto alla digitalizzazione dei processi, molte organizzazioni stanno definendo veri e propri piani di transizione, documenti che delineano obiettivi climatici, investimenti previsti, tempistiche di attuazione e responsabilità interne. Questo tipo di pianificazione consente di dialogare con maggiore credibilità con il sistema bancario e con gli stakeholder finanziari, che richiedono indicatori misurabili per valutare la solidità delle strategie aziendali rispetto ai rischi ambientali e alla trasformazione dei mercati.

Il risultato è un percorso più consapevole, in cui la sostenibilità diventa un fattore operativo oltre che reputazionale. Le imprese che investono oggi in strumenti, competenze e governance dei dati si trovano in una posizione di vantaggio rispetto a chi continua a considerare i temi ESG come un adempimento marginale o accessorio: in un contesto in cui la trasparenza è sempre più richiesta, la capacità di misurare e dimostrare i propri progressi diventa un asset competitivo decisivo.

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